Conference League, la Roma trionfa: Mourinho è di nuovo Special One
La finale di Tirana sorride ai giallorossi: battuto 1-0 il Feyenoord. Un nuovo successo per il tecnico portoghese
Questa è la Coppa di Mou. Di Mourinho e della Roma. Perché questo signore con i capelli bianchi e la voce stanca che attraversa il campo asciugandosi le lacrime è l’unico che dodici anni dopo ci riporta di nuovo in mezzo all’Europa, dove si gioca uno sport che amiamo ancora più di tutto e che stiamo quasi perdendo. Si chiama calcio, ma per giocarlo bisogna fare una cosa che costa fatica: correre più degli altri e, se possibile, anche più veloce degli altri. Nella notte di Tirana, la Roma gioca allo stesso ritmo degli olandesi, barcolla, boccheggia, annaspa, e però riparte, e quando arriva alla fine è esausta, ma non è crollata, ha tenuto. E qui non c’entrano i risultatisti o gli allievi della scuola di Fusignano.
Mou ha una filosofia di gioco molto italiana, blindati con il cappotto dietro a cercare gli spazi per colpire davanti, solo che la sua carriera l’ha fatta quasi tutta all’estero e si vede la differenza: qui si corre, non si passeggia. Poi puoi giocare come vuoi, ma questo devi fare. Se dobbiamo accontentarci della neonata Confederation Cup (a parte il fatto che Roma Feyenoord secondo me vale più di Eintracht Rangers) la colpa è solo nostra. Il Mago di Setubal quello aveva ed è arrivato in cima: in campionato ha fatto un punto in più di Fonseca, che l’aveva preceduto sulla panchina l’anno scorso (63 contro 62), ma è arrivato sesto anziché settimo e ha portato la Roma in Europa League. Ha recuperato Zaniolo, ha avuto il coraggio di lanciare dei giovani come Zalewski, adattando a esterno questo splendido ragazzino polacco che parla in romanesco e che nelle giovanili giocava da trequartista. E adesso in bacheca aggiunge questa notte di Tirana: due Champions (Porto, Inter), una Coppa Uefa (con il Porto), una Europa League (Manchester United) e oggi questa neonata Conference League.
Poi quando ripercorre la sua storia, dopo essersi asciugato le lacrime («ho tante cose che passano nella mia testa»), dice che adora il Real Madrid, che lui è entrato in simbiosi con tutte le squadre che ha allenato, ma le sue vittorie speciali sono quelle con il Porto, l’Inter e la Roma, che non erano fatte per salire così in alto: «Un conto è vincere con squadre costruite per questo, un altro è farlo per restare immortali».
In effetti quello che ha fatto è abbastanza speciale, e gli va riconosciuto, perché ha portato la Roma in campionato a prendersi l’Europa League e a vincere la Coppa con non più di 13 titolari veri, a essere onesti, partendo dai preliminari di agosto e disputando se non contiamo male 15 partite al giovedì, senza per questo arrivare senza fiato alla domenica. Ha avuto la stagione più lunga e l’ha chiusa più in forma di quasi tutte le altre. E poi dicono che l’allenatore non conta. Ma un allenatore vuol dire anche il suo staff tecnico con i preparatori atletici, e quando arrivi alla fine che fai la differenza il merito è solo e tutto suo.
A Tirana c’erano gli odori di una battaglia. Scontri di piazza fra tifosi. Sul campo, rumor di ferraglia, si incrociano le spade. Bisogna correre, non si può passeggiare. Partita intensa, ritmi europei. Al 16’ la Roma perde Mkhitaryan. Sembra un segnale di sventura. Ma se hai cuore e voglia tutto si supera. E al 32’ la svolta: lancio di Mancini, Trauner sbaglia il tempo e si fa superare, Zaniolo controlla di petto e poi anticipa Bijlow con la punta del piede. Mourinho chiama il pullman per difendere il vantaggio, ma i suoi non stanno fermi ad aspettare. Sono i primi venti minuti della ripresa quelli più duri da superare: Feyenoord arrembante, due pali di Til e Malacia, due grandi parate di Rui Patricio. Mou si ritira ancora di più: esce Zaniolo entra Veretout, e Spinazzola prende il posto di Zalewski. Ma gli olandesi dopo tanto correre cominciano a prendere fiato, e la Roma invece ne ha ancora perché da qui in avanti le azioni pericolose sono le sue e per due volte Bijlow riscatta l’incertezza nella rete subita, su una sventola da fuori area di Veretout e su una conclusione di Pellegrini che aveva già fatto gridare al gol la curva romanista.
Alla fine è fatta. Che la festa cominci. Mou è portato in trionfo e poi attraversa il campo con le lacrime che scendono. Questo dev’essere solo l’inizio, dice ai microfoni della tv: «Io rimango, anche se arriva qualche voce, anche se arriva qualcosa, io rimango, non ci sono dubbi. C’è da capire soltanto quello che i nostri proprietari, che sono persone molto serie, vogliono fare nella prossima stagione. Perché possiamo dare seguito a un progetto molto bello, c’è soltanto da capire la direzione da prendere». Parole al miele con dedica finale: una serata come questa «è molto, molto speciale, una cosa che ti fa diventare immortale. In questo momento penso a me, ma di più a questa gente romanista che sta facendo festa». Stanno lì, danzano le bandiere e cantano l’inno, Roma Roma Roma core de sta città, unico grande amore che tanta e tanta gente hai fatto innamorà...