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Americani e inglesi contro Jacobs. Ma è dentro se stesso che Marcell ha trovato il suo doping

Ai media anglosassoni non va giù che a vincere i 100 metri sia stato un italiano e continuano ad alludere all’ipotesi che il campione sia dopato

Pierangelo Sapegnodi Pierangelo Sapegno   

Appena cinque minuti dopo lo splendido trionfo di Marcel Jacobs sui cento metri alle Olimpiadi di Tokio, il caposervizio dello storico Times, Matt Lawton, ha lasciato su Twitter un commento un po’ sardonico, alla loro maniera: «Ah well». Ci hanno pensato i giornali poche ore dopo a chiarire la sua battuta, a cominciare dal Daily, capofila del populismo antiitaliano, umiliato dalla vittoria degli azzurri agli Europei di Wembley, che rimarcava «l’oro di Google», per sottolineare l’incredibile successo di uno sconosciuto nella specialità regina dell’atletica leggera.

Populismo nazionalista e sospetti

Ogni populismo è bello a mamma sua. Ma anche gli autorevoli Guardian e Times si sono uniti al coro, avanzando ingiustificati sospetti di doping sul trionfo dell’olimpionico di Desenzano del Garda. Dall’altra parte dell’Oceano, Adam Kiligore, del Washington Post, è partito con una bella filippica per enunciare le sue accuse: «Prima del 2021, Jacobs non aveva mai corso i 100 in meno di 10’’03, un tempo che non lo avrebbe qualificato per la finale dei Trials. Eppure oggi solo dieci uomini hanno corso più veloce di lui nella storia». Nel mondo dello sport sono tantissimi gli esempi di atleti che cambiando anche solo metodi di allenamento hanno ottenuti risultati nettamente migliori, molti dei quali americani e anglosassoni.

Jacobs indenne a tutti gli esami di doping

Ma Kiligore punta il dito solo sul parvenu italiano in quel regno ritenuto evidentemente di loro esclusiva competenza: «Non è colpa di Jacobs se la storia dell’atletica leggera getta sospetti relativi a crescite improvvise ed esponenziali. Gli annali sono pieni di campioni popup che più tardi si sarebbero rilevati truffatori e dopati. Sarebbe ingiusto accusare Jacobs, che merita il beneficio del dubbio, ma non è il caso di avere lo stesso riguardo per la sua disciplina sportiva». A parte il prudente giro di valzer della chiusa, per evitare inevitabili querele, visto che Marcell ha sempre superato indenne tutti gli esami di doping a cui è stato sottoposto, l’accusa è abbastanza inequivocabile e diretta.

I precedenti dopati

Non si è risparmiato neppure il Times che ha elencato le migliori prestazioni di sempre sulla distanza, escluso il fenomeno Bolt, per sottolineare come 32 dei migliori 36 tempi sarebbero stati ottenuti da centometristi in seguito positivi agli steroidi. Che poi molti di questi, da Leroy Burrell, Maurice Green, Justin Gatlin fino all’ultimo, Christian Coleman, siano atleti statunitensi o inglesi come Linford Christie e comunque anglosassoni come Ben Johnson, non importa. L’unica cosa che conta è sollevare dubbi nei confronti del campione italiano, «l’oro di Google».

La risposta del Coni

Il numero uno del Coni, Giovanni Malagò, ha commentato queste accuse spiegando che «gli atleti vengono sottoposti sistematicamente e quotidianamente nel villaggio a tutti i controlli antidoping. Quando fai un record nazionale o continentale, poi, i controlli raddoppiano; queste accuse sono imbarazzanti, ed è veramente qualcosa che dispiace, perché dimostrano come non sia stata accettata la sconfitta». Per maggiore informazione dei colleghi americani e inglesi, facciamo presente come dal suo arrivo a Tokio a oggi, Marcell Jacobs abbia passato 18 controlli antidoping senza che mai sia stato riscontrato il minimo dubbio. Il direttore tecnico dell’atletica azzurra, Antonio La Torre, ha solo detto che se lo conoscessero non oserebbero neanche pensare quello che hanno scritto: «E’ una persona pulita e con una grande forza interiore».

Come se dovesse giustificarsi

Perché è vero che Marcell è esploso solo quest’anno, stabilendo prima il record italiano e poi per due volte migliorando quello europeo, fino ai 9’’80 della finale, ma è altrettanto vero che si è avvicinato ai cento metri tardi, dopo aver abbandonato il lungo, cominciando a farlo seriamente soltanto dal 2018, appena tre anni fa, quando si è trasferito a Roma. Il salto decisivo l’ha compiuto proprio nei giorni della pandemia. Ed è stata soprattutto una questione di testa. «Durante il lockdown», ha cercato di spiegare, «ho iniziato a sentirmi pronto ad accettare il dolore che si deve pagare per la grandezza. Prima non era così, non riuscivo ad abbandonarmi». Viveva con il peso dell’assenza di un padre, con la solitudine e il senso di esclusione, «perché sono sempre stato un bambino diverso dagli altri e in classe ero l’unico mulatto fra studenti che erano tutti bianchi».

Superare i propri limiti

E’ cresciuto con questi limiti, che non riusciva a superare. Gli mancava il padre, e ha smesso di pensare a lui, «per evitare di vivere le sensazioni di un abbandono che forse non ho vissuto del tutto». Nei giorni della pandemia, con il mondo che si è accartocciato nella paura di sparire, «ho cercato di fare pace con la mia storia e correre è stato uno sfogo, una cura, un modo per esprimere me stesso. Durante il lockdown, quegli allenamenti continui mi hanno spinto a superare i miei incubi. Ho cominciato un percorso per imparare a volermi bene e per capire da dove vengo davvero. Ho distrutto muri, riallacciato rapporti, ho vinto la paura e ho iniziato a sentirmi leggero, ho capito che gli spigoli della vita a volte possono ferire e non dev’esserci vergogna nel nascondersi».

Il vero il doping di Marcell

Devi essere nudo, del tutto senza filtri, per imparare a vincere, perché quello nessuno te lo può insegnare. E’ questo il doping di Marcell. Ha fatto pace con se stesso, non ha avuto più paura della sua vita. Una rivoluzione nella testa, che gli ha cambiato gli orizzonti. Il segreto dell’oro di Google non è nient’altro che il segreto delle nostre esistenze, tutta la fatica che ci mettiamo ogni volta per andare avanti in quello che facciamo, cercando di farlo sempre meglio. E’ il senso dello sport, la sua lezione: devi conoscere te stesso per superare i tuoi limiti. Solo questo: «Se non sai chi sei per davvero, se non capisci le sofferenze o le mancanze che hai avuto, se non conosci il tuo valore come essere umano, è matematicamente impossibile che tu riesca a mettere in pista tutto quello che serve per distruggere i tuoi muri. Tecnici, fisici e personali». Non c’entra il doping. C’è chi ci mette più tempo, e chi meno. Marcell ci ha messo semplicemente il suo.

Pierangelo Sapegnodi Pierangelo Sapegno   
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