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Vittoria dal sapore amaro in Turchia. Ma almeno si riparte da Mancini

C'è la volontà di rialzare la testa, perché dopo un inizio in "stile Macedonia" la Nazionale rischiava davvero di deragliare, e un po’ di quello spirito di gruppo che sembrava sparito dopo gli Europei.

Pierangelo Sapegnodi Pierangelo Sapegno   
Roberto Mancini (Ansa)
Roberto Mancini (Ansa)

Si ricomincia dal Mancini due. Che poi, la conferma del ct, è l’unica, vera buona notizia di questa serata di vento e pioggia a Konya, sull’altopiano dell’Anatolia Centrale. Ci sarebbe anche il risultato, 3-2, se non fosse che era l’amichevole degli sconfitti e degli esclusi e non conta niente. Si rivede un po’ pure il gioco, la carta di credito di Mancini, e dopo mezz’ora che sta nascosto ribalta la partita e crea qualche trama decente. Niente di speciale, ma in questo clima mesto e grigio va già bene così. Gli uomini chissà, è il nostro problema principale, perché talenti non ce ne sono, e non date retta a quelli che gli basta vincere una partita per cambiare idea e vedere gli asini volare.

Sono giovani e si faranno, ma grandi nomi qui non ne vediamo. L’attacco, quello sì, ci è sembrato già meglio e senza Immobile punta la porta e concretizza. Ottimo Raspadori, così così Scamacca, che deve imparare a dare più profondità e sfruttare meglio il suo fisico in area. Il resto? Donnarumma, due papere colossali e due miracoli. Zaniolo è quasi bocciato dal ct: «deve imparare a non giocare da solo». Tonali appena sufficiente, comincia male, poi fa il suo compito, è lento e diligente. In difesa esce Chiellini e rischiamo la rimonta della Turchia, prendiamo gol in mischia e poi ci salva Gigio sul colpo di testa di Dursun, libero in area di fare quello che vuole perché chissà dov’erano e cosa facevano Acerbi e Bastoni. I migliori restano quelli che non ci sono: Barella e Chiesa. Il primo fuori forma dall’inizio dell’anno, il secondo infortunato.

Al di là di tutto, però, si sono viste anche cose che sono utili per ricominciare: la volontà di rialzare la testa, perché dopo un inizio in "stile Macedonia" con il gol di Under e la papera di Donnarumma, la Nazionale rischiava davvero di deragliare, e un po’ di quello spirito di gruppo che sembrava sparito dopo gli Europei. Appena uscita dalla prima pagina, dai fasti di quella magica estate di Londra, e dalle scorie che il destino ci ha restituito indietro - con i rigori abbiamo vinto e due rigori ci hanno mandato a casa -, l’Italia ha almeno ritrovato se stessa e recuperato qualcosa di quella spensieratezza che la rendeva persino sfacciata. Non è tantissimo, ma di più non si poteva chiedere a questa amichevole dal sapore amaro e triste come il volto di Mancini, ancora così segnato dalle metafore crudeli della vita che racconta il calcio.

Ora bisognerà fare i conti con il futuro e magari anche con il passato più recente. Perché dopo gli Europei, vinti soprattutto e quasi soltanto per merito del ct, delle sue idee e del suo coraggio, l’Italia è tornata a fare quello che sa fare meglio, che qualche volta è pure il peggio, a dividersi attorno ai suoi campanili, a pensare al particulare e agli interessi dei propri orticelli, ognuno a fare il furbo a spese degli altri. Nella settimana decisiva con la Svizzera, quella che ci ha mandato agli spareggi, se ne andarono a casa dieci giocatori, con Coverciano che era diventato un hotel dalle porte girevoli, tanto ai mondiali ci saremmo andati comunque. Ma noi siamo forti quando siamo uniti, come Paese e come Nazionale, gli azzurri hanno sempre vinto così, stringendosi a corte contro la stampa che li calunniava nell’82 o dopo l’inchiesta di calciopoli che devastava la serie A e smantellava i suoi padroni. Vinciamo quando siamo un gruppo, e gli interessi dei club non incidono. Mancini prima della Macedonia non ha avuto il tempo che aveva avuto alla vigilia degli Europei, perché il campionato ha deciso di non concederglielo. Sarebbe cambiato qualcosa? Non c’è la controprova. Però per fare un gruppo, o per ritrovarlo, ci vuole il tempo giusto. E Mancini non l’ha avuto.

Il futuro invece riguarda gli uomini. E su questo è inutile cambiare idea a seconda dei risultati. Non avevamo una nazionale forte prima degli Europei, non lo è diventata dopo e non lo è adesso. E visto il panorama che c’è in giro, non crediamo proprio possa diventarla domani. Anzi se facciamo i raffronti, uno per uno, ci sembra ancora più debole, perché due come Chiellini e Bonucci non ci sono, e Verratti e Jorginho neppure, perché né Tonali né l’emergente Fagioli di cui tanto si parla ci sembrano lontanamente paragonabili. L’unica soluzione rimane quella del gioco e di trovare gli interpreti adatti. In uno sport di squadra a volte conta più quello del resto. Così è, senza troppe illusioni. Per i Pirlo, i Totti, i Paolo Rossi o i Bruno Conti bisognerà aspettare un’altra vita.

Pierangelo Sapegnodi Pierangelo Sapegno   
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